Le parole di Alex

Le parole di Alex

o della chiara profezia
a cura della Redazione

Alex Langer

Alex Langer

Il teatro civile che da sempre promuoviamo si è dall’ottobre scorso arricchito del pensiero nonviolento, lo abbiamo fatto convinti che il teatro sia per sua natura l’espressione più alta del concetto di nonviolenza e in quanto tale arte rivoluzionaria per eccellenza. Rivoluzione interiore e capace di cambiare profondamente poiché solo cambiando noi stessi possiamo sperare di contribuire al mutamento degli eventi in essere e futuri e del loro oscuro corso, nonché essere esempio per quanto diciamo a parole.
Pubblichiamo ora questo testo tratto da un articolo del 1989 di Alex Langer (politico, pacifista, nonviolento, scrittore, giornalista, ambientalista, traduttore e docente italiano).

Pur avendo trent’anni questo scritto è di assoluta attualità, Alex Langer sapeva cogliere con largo anticipo le pulsioni e i mutamenti della società sua contemporanea e della storia. L’Europa che qui è tratteggia è in effetti quella che oggi abbiamo davanti con tutte le sue pulsioni e problematiche ivi compresa la deriva populista e reazionaria.
Questo testo sarà la base per un reading e che racconterà della figura politica ed umana di Alex Langer. Pubblichiamo questo stralcio senza nulla togliere e nulla aggiungere affinché i nostri lettori possano ben comprendere leggendolo quanto affermiamo.
In attesa della messa a punto del testo per poi portarlo in scena invitiamo a comunicarci le vostre impressioni, che sicuramente serviranno al nostro lavoro.
A piè dell’articolo i link per approfondire e meglio conoscere Alex Langer.

(…) Le sinistre invece tradizionalmente sono inclini a gridare “al lupo” (fascista o neonazista), salvo poi perdere clamorosamente grosse percentuali di elettori che passano direttamente dai comunisti a Le Pen (come in Francia), o al MSI (come a Bolzano) ed alla “Lega lombarda” (come in Brianza) o dalla socialdemocrazia ai “Republikaner”: una dimostrazione che la pura esecrazione e la condanna verbale di voti ed atteggiamenti bollati come “razzisti” non fanno poi grande impressione e non dissuadono più di tanto. Anzi, i paladini delle varie organizzazioni anti-stranieri rivendicano apertamente la necessità di una correzione in chiave fortemente “nazionale” delle politiche e delle società diventate troppo “mescolate” e prive di identità riconoscibile. La Germania ai tedeschi, la Svizzera agli svizzeri, il Veneto ai veneti, l’Alto Adige all’Italia (o, rispettivamente, ai soli sudtirolesi di lingua tedesca) sono slogan già usati con successo.

Come negare, d’altra parte, che la presenza di tante persone che dai loro paesi fuggono per miseria o per ragioni di persecuzione politica, crea degli effettivi imbarazzi e delle vere difficoltà nei paesi ospitanti? Le nostre società sono da qualche secolo diventate “nazionali”, comprimendo ed omologando le diversità che stanno sotto quella soglia (i dialetti, le autonomie locali, le identità regionali, le minoranze etniche…) e fomentando diffidenza e spesso aperta ostilità verso quelle altre diversità che stanno oltre e fuori di essa: le altre nazioni, religioni, tradizioni, mentalità. Quante generalizzazioni semplicistiche ed ingenerose tocca sentire tutti i giorni: “i meridionali sono tutti… gli inglesi/i tedeschi/gli slavi…sono tutti…”! Quindi siamo poco abituati all’idea che la multiformità etnica e culturale di una società, di una città, di una regione possa essere una ricchezza anziché una condanna ed un fardello negativo. La stessa crisi manifesta di alcuni ordinamenti volonterosamente, ma un po’ troppo forzatamente plurinazionali – come l’Unione Sovietica o la Jugoslavia – sembra postulare un ritorno di fiamma dell’idea di nazione e di compattezza etnica: un modo come un altro per sottrarsi al peso della complessità, inseguendo la pretesa semplificazione.

Eppure non c’è altra prospettiva: finché la nostra civiltà industrializzata ed opulenta, consumistica e competitiva imporrà a tutti i popoli la sua legge del profitto e dell’espansione, sarà inevitabile che gli squilibri da essa indotti sull’intero pianeta spingeranno milioni e miliardi di persone a cercare la loro fortuna – anzi, la loro sopravvivenza – “a casa nostra”, dopo che abbiamo reso invivibile “casa loro”. Perché meravigliarsi se in tanti seguono le loro materie prime e le loro ricchezze che navi, aerei ed oleodotti dirottano dal loro mondo verso il nostro?

Attrezzarsi ad un futuro multi-etnico, multi-culturale e plurilingue è dunque una necessità, anche se non piacesse. Tanto vale che gli europei se ne convincano e cerchino tempestivamente i modi per sviluppare una cultura della convivenza. Cominciando, per esempio, dalla scuola e dalla scuola materna, che sempre più spesso diventerà luogo di incontro e – si spera – di reciproca accettazione tra bambini “diversi” per colore di pelle, religione o madrelingua. O dalle organizzazioni dei lavoratori, che non possono più limitarsi a difendere i diritti dei soli “connazionali”. O dal diritto di voto amministrativo a chi ormai è diventato parte della comunità locale, anche se avesse un passaporto diverso. O dalle organizzazioni giovanili – religiose e non – che possono diventare un’egregia scuola di positiva convivenza ed inter-azione. (…)

Alex Langer

Il Viaggiatore Leggero (scritti di Alex Langer)


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