La scalinata

La scalinata

Autore: Emanuele Landi

mendicanti-medievaliLe scalinate paiono interminabili, svettano le torri verso un cielo grigio, la pietra bianca si staglia sul verde del bosco retrostante, dame e cavalieri salgono indifferenti dalla moltitudine di mendicanti le cui mani si protendono fin sotto i loro volti, il disprezzo si legge sui visi di quei nobili che come testuggini ritirano le membra per timore di quel contatto contagiante.

Ai colori accesi delle regali vesti si contrappongono quelli terrei dei mendicanti, una incolore corte dei miracoli, dove storpi, ciechi e sofferenti d’ogni genere si sono dati appuntamento, non è consueto un matrimonio di principi, non è certo facile trovare tanti nobili tutti insieme in sol giorno, si rischieranno le bastonate, ma le elemosine ricompenseranno dei colpi subiti.

Sbuffi d’incenso escono dalle massicce porte aperte della basilica, le salmodie dei chierici avvolgono l’intorno, i mendicanti sono stretti tra l’entrata e il sagrato, i servi della nobiltà li osservano con altezzoso disprezzo, reggendo i cavalli dei loro padroni, vedono in quella moltitudine la loro reale condizione resa ancor più opprimente dal dover obbedienza cieca a padroni che possono far di loro ciò che vogliono, se non soddisfatti dei loro servigi. Quei mendicanti pensano, sono almeno liberi perché senza padrone e ciò scatena odio, gridano forte insulti, forte perché i padroni sentano, bisogna pur conquistarsi meriti. Non di rado sputi e sterco vengono lanciati, i mendicanti a loro volta sfidano quei servi con insulti e oscenità certi che la consegna di far buona guardia agli animali e ai beni dei padroni li costringerà al loro posto.

In cattedrale i chierici hanno lasciato voce all’officiante le cui parole sono incomprensibili a servi e mendicanti la cantilenante voce del sacerdote giunge chiara all’esterno, portata dal vuoto delle immense navate, centinaia di orecchie non comprendono pur sentendo quella lingua che solo nobili e clero conoscono, servire e mendicare questo il loro compito, tenersi ben distanti e nemici solo così quei nobili principi dame e cavalieri possono mantenere i loro privilegi.

E’ quasi il tramonto quando finita la cerimonia, preceduti dalle guardie che spianano la strada a quel nobile corteo non esitando a menar fendenti a quella massa mendicante dividendola in due ali laterali. Ecco che al passare delle loro regalità migliaia di mani si protendono mostrano le infermità e gridando forte le loro disgrazie, con sprezzante gesto sono lanciate monete nascono zuffe per recuperare più monete possibili, ridono dame e principi e ridono i loro servi, sangue scorre per quelle risse e a causa dei fendenti che le guardie sferrano da ogni parte.

A sera gli animi si placano, molti sono i feriti, ad alcuni è andata bene, altri hanno rimediato ben poco, altri ancora si lamentano per i colpi subiti, alcuni hanno lasciato per sempre questa valle di lacrime, si accendono i fuochi, al limitare del bosco, le pesanti porte della cattedrale sono chiuse. Sono lontani i nobili, gozzovigliano nei loro castelli e i servi attendono gli avanzi. A passi veloci sopraggiunge la notte, preludio ad un nuovo giorno che nulla avrà di diverso.

Dallo spettacolo teatrale “Quattrocentoventisettemila Affabulazioni”