Mani

Mani

Autore: Emanuele M. Landi

Bosch, Hieronymus - Trittico Giardino delle delizie - particolare

Lentamente serrò le mani, dopo il lieve incurvare del capo, nel silenzioso radunarsi dei pensieri, quasi un’estasi in quel ritiro cercato. Sfiorandosi, queste si serrarono sul petto appoggiandosi alle spalle, un profondo respiro aprì lo sguardo all’orizzonte poi improvvisa la mente volò al ricordo di quel giorno in cui qualcuno violò il suo corpo e a seguire schiuse le labbra ad una smorfia ed un peso enorme gravò su di lei schiacciandola. Tesa ed immobile ascoltò ogni più piccolo suono in quell’apparente silenzio, poi immagini e suoni invasero la mente, immagini nitide proiettate nelle palpebre chiuse tanto da chiuderla all’esterno, come trasportata da un vortice temporale avvertì di nuovo il lancinante dolore di quella violenza lunga un’eternità. Serrò le braccia, poi le allargò di scatto ed ebbe un fremito così repentino tanto da provare una fitta violenta ad ogni osso del corpo, un urlo silenzioso deformò il suo viso, un fremito incontrollato la scosse come una scarica elettrica improvvisa, poi il sudore, bollente e poi gelido invase la sua pelle. Ansimando tentò di riprendere il controllo, si impose di distendere gli arti, rilassare i muscoli ed alleviare la tensione di nervi e tendini. Non c’era più nulla attorno.
Spalancò gli occhi ed il sole li ferì perché immersi nel buio delle palpebre calate, che istintivamente si riabbassarono, istantaneamente un dolore ancor più forte la percorse e al contempo avvertì di nuovo quel freddo come se un qualcosa di gelido salisse su dalle caviglie, qualcosa di avvinghiante come mani, mani gelide e invasive che con penetrante violenza percorrevano la carne offendendola, salendo il gelo divenne dolore, avvertì l’espandersi di un urlo dal profondo della gola, ma non udì alcun suono, fu allora che realizzò di non poter muovere le braccia oppresse ai polsi da un peso che li costringeva al suolo e freddo ancora freddo. La stretta di quelle mani gelide stringeva ora i seni comprimendoli nel palmo, freddo e dolore, dolore, dolore e freddo , poi un caldo umido e sudato e fu allora che un peso insopportabile la premette al suolo, quell’urlo che da tempo lottava per uscire si liberò e invase l’aria nell’attimo stesso che una trafittura immensa la penetrò, ripetuta ed insistente, quell’urlo si fece rauco, mentre il torace lottava per l’aria che ad ogni faticoso respiro pareva fermarsi in gola. Avvertì il sudore invaderla mentre tutto il corpo si contraeva in spasmi violenti e dolenti, oppressione, dolore e incapacità di pensare, gli occhi chiusi e stretti tanto da far male. Una parola, più che un pensiero invase allora la mente e ricordò quella parola mai pensata ne mai pronunciata prima di quel giorno crudele, morire, morire, morire, ora, ora.

Un urlo prolungato e strozzato, ora liberatorio deflagrò dalla gola ed aprì gli occhi di scatto e questi incontrarono il sole al tramonto mentre colorava di rosso l’orizzonte e le cime delle montagne, si appoggiò alla casa quasi aderendovi e avvertì irregolarità dei sassi di cui era fatta, abbandonò le braccia e le mani fermarono la discesa sulla panca di sasso sulla quale era seduta, cercò di rilassare le spalle mentre la nuca si erse dritta aderendo al muro, il respiro difficile ed affannato si distese lentamente ed ogni contrattura del corpo parve abbandonarsi ad una profonda spossatezza che accolse con quella gioia che da tempo l’aveva abbandonata. Il tramontare lento del sole, la indusse a guardarsi attorno, quel mondo racchiuso tra le montagne e la casa dell’infanzia a cui era addossata le apparvero d’un tratto e di nuovo un porto sicuro e quel rifugio che aveva cercato in quell’estate. Ho superato il dolore? Pensò, più che altro se lo domandò. La risposta che diede a se stessa fu immediata, ho superato l’orrore e l’incubo permanente, ma il dolore rimarrà sempre, però non possiederà più le mie notti per costringermi ad un senso di colpa che non è reale. Come siamo vulnerabili realizzò, come siamo schiavi di un’idea distorta di bisogni di possesso e di godimento, siamo dominati da un falso concetto di identità noi umani e distruggiamo questo equilibrio – dicendolo volse lo sguardo attorno, riconoscendo ogni angolo di quel luogo come parte di sé – violando ogni cosa e chiunque ed in fondo noi stessi. Nel frattempo il buio cominciava ad aver ragione del giorno ed il fresco della notte lentamente l’avvolse, un freddo rigenerante ora, serrò istintivamente  le braccia sul torace e le mani si colmarono sulle spalle, un lungo e profondo respiro aprì ad un leggero sorriso, serrò ancor di più le braccia immergendosi in quel luogo ormai avvolto nel buio, quasi un estasi in quel rifugio cercato.