Martina

Martina

Il viaggio evolve in conoscenza e come un vecchio treno attraversa paesi e pensieri.

Autore: Emanuele M. Landi

Una ragazza dai capelli nerissimi, un viso un po’ rinascimentale e una figura dolce e sinuosa, si sedeva ogni fine settimana sui sedili di legno di quel treno locale, che un po’ ricordava il far west; scostava le pesanti tende di finto broccato e aspettava l’inizio dello spettacolo del viaggio; il passaggio veloce di strade, campagne e di piccole stazioni che si avvicendavano dal finestrino le assaporava davvero con estremo piacere. L’immancabile libro tra le mani e altri ne aveva nell’enorme borsa, che conteneva di tutto. Gli occhi nerissimi scrutavano avidamente il paesaggio ormai memorizzato e, di tanto in tanto, scendevano a divorare le parole del libro aperto sulle ginocchia serrate, l’ennesimo sull’oriente e le sue culture, erano queste con la musica e il teatro, le sue passioni e si leggeva così bene in treno, si poteva fermare il pensiero cullato da quei vecchi vagoni, chiudere gli occhi riaprirli sul paesaggio e ritornare alle amate letture godendo a pieno di quell’immersione completa, avendo, scossone dopo scossone, la certezza di raggiungere presto quella casa tra le montagne dell’Appennino.
Martina vent’anni vissuti con calma, tanto da sembrare estranea alle abitudini dei suoi coetanei.
Quel fine settimana avrebbe dovuto decidere del suo futuro se iscriversi all’università o battere altre strade, era passato un anno dalla maturità: «Mi sono fermata a pensare», diceva.
In realtà non lo aveva mai fatto seriamente, non una scelta che toccasse a fondo i suoi veri interessi, non riusciva nemmeno a comunicarli agli amici, pochi in verità, lei così introspettiva, restia a lasciarsi andare a quei passatempi frivoli che tanto appassionavano gli altri. La discoteca o lo shopping.
Con le amiche non riusciva nemmeno a parlare di ragazzi, argomento preferito nell’intimità femminile: « Martina ma ti piacciono i ragazzi?» Chiedevano spesso le amiche e lei sorrideva, certamente, diceva ma aggiungeva che cercava qualcosa di più, e queste scuotevano la testa senza cercare di capire.
Il treno proseguiva la sua corsa dondolando, come sempre, dopo aver osservato a lungo il paesaggio Martina ritornò al libro.

…Gandhi si rese conto di non conoscere affatto l’India, il suo ritorno dal Sudafrica, aveva fatto di lui un eroe, che poco o nulla sapeva del suo paese, bisognava ovviare, e anche su consiglio di Gokhale intraprese, un viaggio, assieme alla moglie, percorsero in treno tutto il paese, era suo dovere, pensava, conoscere l’India profonda, i suoi contadini, gli artigiani e le mille etnie che la componevano, ma soprattutto vedere con i suoi occhi il disagio e la povertà che il colonialismo producevano…

Socchiuse gli occhi un attimo e sul dondolio del treno immaginò quel viaggio, riaprendoli volse il capo verso il finestrino, il paesaggio conosciuto era mutato, ora la ferrovia rasentava un grande fiume dalle acque scure, lento nel suo procedere, basse barche lo percorrevano e sulle sue rive, donne e uomini immersi sino alla cintola vi si bagnavano, il Gange pensò e in quell’istante un inteso vociare la fece voltare verso lo scompartimento, non c’erano più i soliti passeggeri, ma una moltitudine di persone: donne, bambini, anziani con infinite quantità di sacchi e ogni sorta di contenitori, tutti coloratissimi, soprattutto i sari.
Era un continuo sorridere un congiungere le mani, chinare il capo e salutare: «Namastè», e Martina rispose e nel farlo si accorse di indossare un bellissimo sari rosso e oro. Sentì di essere perfettamente a suo agio, di quando in quando donne e ragazze si voltavano verso di lei parlando, non capiva quei suoni, ma le era perfettamente chiaro il significato e rispondendo in italiano capiva di essere compresa.
Tantissime le cose dette e le domande con quel caratteristico parlare veloce, perché bella com’era, non era sposata.
La donna di fronte a lei indicò il puntino rosso che aveva sulla fronte, il segno che indica la donna sposata, Martina sorrise portò le mani giunte all’altezza del naso, le divaricò leggermente e sollevò le spalle come risposta ricevette un bellissimo sorriso.
Proprio in quel momento il treno iniziò a fermarsi, gli fu detto che erano arrivati, ma dove?
Una marea umana si portò verso le porte degli scompartimenti e in breve fu letteralmente trasportata giù dal treno, ricevette ancora inchini e saluti e si ritrovò tra una folla che andava in tutte le direzioni sul marciapiede in una sconosciuta stazione in chissà quale posto dell’India.
Per un attimo si sentì sola nonostante fosse letteralmente avvolta da persone, rimase ferma nel mezzo del marciapiede, quando la folla cominciò ad aprirsi come per consentire il passaggio a qualcuno, si trovò tra due ali di folla esultante che alzando le mani gridava, «Jaya, Jaya», una marea bianca di persone si avvicinava, alla testa c’era un vecchio, magrissimo e un po’ curvo, che procedeva però più spedito degli altri, tanto da formarne l’andatura che era piuttosto sostenuta.
Era coperto solo nella parte centrale del corpo da un dhoti bianco e da un’ampia sciarpa che ne copriva il torace, procedeva accompagnandosi ad un lungo bastone, e si avvicinava sempre più a Martina e quando furono l’uno di fronte all’altra lei ruotò il tronco verso sinistra per farlo passare indietreggiando fino alla linea della folla, il vecchio parve fermarsi decimi di secondo voltandosi verso lei, l’anziano alzò la mano destra verso la fronte chinò il capo e sorrise come solo i bambini sanno, Martina avvertì allora alcune parole sussurrate: «Persegui sempre la verità, ascolta il tuo cuore».
Velocemente rispose al saluto chiuse gli occhi per un attimo e si sentì bene come non si era mai sentita, ebbe ben chiaro in quell’attimo cosa avrebbe fatto.
La folla gridò più volte: «Gandhiji ki jaya».
Dischiuse le palpebre e il solito paesaggio scorreva.

Glossario:
Jaya (in sanscrito vuol dire vittoria)
Namastè (saluto induista a mani giunte, significa: saluto il divino che è in te).
Gokhale (filosofo e intellettuale indiano contemporaneo di Gandhi)
Dhoti (un lungo pezzo di stoffa bianca, generalmente di cotone, rimboccato alla cintura passandone un lembo fra le gambe)

Dallo spettacolo teatrale: Un turbinoso tour in torpedone