Tocco di dita

Tocco di ditaclavicembalista

Racconto teatrale dove la musica accompagna visioni e parole.

Autore: Emanuele Landi

Le dita scorrono sulla tastiera rimbalzano e vibrano nell’aria ad ogni trillo, il suono svolazzante del clavicembalo riempie quel pomeriggio d’estate e attraversa i vicoli del centro portato dall’aria calda, armonizza con quelle case che al loro nascere già conoscevano quel suono. L’ora pomeridiana quella che maggiormente concilia il riposo, quando più si è propensi all’intolleranza verso tutto quello che non è il bramato silenzio, non è scalfita dalle usuali urla e improperi verso il disturbo.

Il ritmo si fa via via più incalzante, piccole mani affusolate giocano con quella infinità di tasti, occhi esperti penetrano il pentagramma lettura ed esecuzione danno un risultato che procura all’orecchio una sorta di torpore vigile, non sonno, estraniamento, assai più necessario del riposo in quell’afoso pomeriggio estivo, anche l’udito meno avvezzo a quei suoni penetra ogni nota, ogni passaggio, ogni trillo come indispensabile elisir per quell’attimo di vita.

Lo strumento accanto alla finestra riluce nel sole pomeridiano le tende scure tirate lasciano in ombra l’esecutrice ed il leggero vento caldo, sposta leggermente la tenda e si insinua tra quei capelli abbandonati sulla fronte che si spostano al ritmo che le mani infondono a quel corpo esile e aggraziato, la cui carnagione ancora non ha assaporato il sole, le spalle leggermente curve aprono il leggero corpetto di lino su piccoli seni rotondi che vibrano liberi partecipando al ritmo, mentre un viso dolce e perfettamente ovale è addolcito da un leggero sorriso, il collo affusolato, proteso in avanti libero dai lunghi capelli radunati a crocchia, emana una impareggiabile sensualità.

Quel suono accarezza i vicoli entra nei cortili ombreggiati dove anziani gustano la quiete di quell’ora quando il tempo pare fermarsi regalando agli uomini una dimensione più umana, entra nelle stanze dove giovani donne riposano nella penombra e dove amanti si scambiavano gesti d’amore, il suono dà al loro amore il trasporto e la sensualità spesso bramata, altri abbandonati alla lettura su divani o poltrone aprono la mente al gusto profondo della vita, così avara di tali momenti.

Chi si trova a passare in quella parte della città vecchia è rapito in quella dimensione sospesa come quei due turisti giapponesi seduti ora per terra con lo sguardo in alto per cercare la fonte di quel suono, abbracciati guancia a guancia nell’inaspettato momento di quella vacanza italiana. Quel ragazzo chino sui libri per un importante esame appoggiato al davanzale è mosso dal desiderio di vedere in quel momento la creatura che sa dar vita a quei suoni, è proprio quella ragazza che tante volte ha visto affacciata alla finestra di fronte, ora sa che farà di tutto per conoscerla meglio.

E’ un pomeriggio d’estate dove la vita della città diventa armonia, le dita e il corpo di Martina entrano in sintonia con le vite, i sogni e le gioie di quel piccolo universo che è quell’incrocio di stradine della città vecchia e chi ascolta vorrebbe che quel pomeriggio d’estate non finisse mai.