Un collettivo che funziona

Un collettivo che funziona

o delle voci dall’abisso alla scena

Autrice: Antigone

Finale Spettacolo "Voci dall'Abisso"Era tempo che non sentivo la parola collettivo/a, assistere poi ad uno spettacolo scritto in collettivo, mi ha davvero incuriosita. Nel mio ultimo articolo pubblicato sul blog, dedicato alla prima del cortometraggio “Dopo la Distruzione”, avevo preannunciato che era in allestimento un nuovo spettacolo prodotto dal blog e realizzato dall’amico Emanuele assieme alle ragazze e ragazzi con i quali negli ultimi tre anni ha portato in scena interessanti spettacoli . Come mio solito di questo lavoro ho voluto solo sapere il titolo e da dove fosse tratto, ho chiesto espressamente a Persio di non darmi alcun particolare sull’andamento delle prove alle quali lui aveva assistito e nonostante le sue insistenze non ho voluto nemmeno leggere il copione. Volevo assistere allo spettacolo con meno informazioni possibili, anche se devo dire che sono stata tentata spesso di contravvenire alla mia decisione e questo per via di quella frasetta posta sul frontespizio del copione (Scrittura scenica collettiva) lasciatomi da Persio e che non mai aperto se non dopo aver visto lo spettacolo. Collettiva/o, è una parola che sa di anni 60/70 e mi ricorda la stagione della collettivizzazione come esperienza politica, che se da un lato era un modo per rompere gli schemi di una società individualista e classista, ha anche in alcuni casi portato ad esagerazioni non scevre di danni. In ogni caso realizzare qualcosa di compiuto all’interno di un collettivo è sempre stata cosa ardua, le uniche persone che hanno vissuto quella stagione sono Emanuele e Saverio Mazzoni, gli altri sono troppo giovani per conoscerne anche solo il suo significato più “politico”. Da qui sono partita. Poi è arrivato il giorno del debutto il sette e l’otto novembre 2014, ancora una volta al Teatro del Lampadiere presso l’Arci Brecht all’interno della rassegna stagione Fermata Teatro. Dimenticavo di dire che avevo sul mio scrittoio a fianco del pc anche la locandina, bellissima tra l’altro, l’ho guardata spesso nei giorni precedenti al debutto concentrandomi sui nomi degli interpreti, sceneggiatori e registi, conoscevo tutti ad eccezione di una attrice, , Antonietta Del Villano, nuovissima entrata, che affiancava Gemma Ruzza, Maria Visconti, Ivan Poli, Saverio Mazzoni, Emanuele e Lino Toscano al violino che ben conosco ed apprezzo da parecchio. Ecco allora il giorno del debutto, entro in un teatro pieno al massimo della capienza, mi siedo e attendo, vedo che sono piazzate due videocamere professionali e la cosa mi fa molto piacere perché se ne farà un video. Mi sona lasciata trasportare dalla musica d’inizio all’interno del lavoro dopo l’introduzione, volutamente istrionica ed ironica di Emanuele e Maria Visconti.
Prima di dar conto delle mie impressioni sullo spettacolo devo dire che ho letto Il popolo degli abissi almeno trent’anni fa, quindi ero nella condizione ideale.
La cosa che mi preme dire subito è che sin dall’inizio lo spettacolo cattura l’attenzione, non ci sono vuoti o cadute di tensione, i quadri più che scene scorrono fluidi, uniti dai movimenti scenici e i cambi veramente discreti, una sorta di promenade tra i quadri di un interessantissimo museo e questo vale anche per le musiche che per nulla didascaliche contribuiscono ad accompagnare lo spettatore nell’East End, quel luogo di miseria infinita, della Londra dei primi del 900, che London descrive assai bene, nel suo libro, essendovi calato e diventando di fatto uno dei tanti suoi abitanti. Dicevo quadri perché le scene sono davvero autentici quadri parlanti, dove il racconto e la recitazione sono notevoli.
Nell’introduzione iniziale Emanuele ha spiegato che nella stesura della sceneggiatura, a cui tutti hanno partecipato non vi e stata alcuna incomprensione o rivalità, ma bensì una perfetta empatia, tanto che la struttura dello spettacolo si è formata armonica e completa sin da subito. Tutto questo è palpabile assistendo allo scorrere della rappresentazione, per parte mia, devo dire che le pagine del libro mi sono tornate alla mente ed anche le scene riscritte o reiventate parevano uscite pari pari dalla penna di London. Non mi capitava da tempo di venire rapita a tal punto da un lavoro teatrale, riuscendo al contempo a seguire con attenzione ogni singola sfumatura ed individuare le infinite citazioni e soluzioni registiche che abbondano nella messa in scena, sicuramente per l’essenzialità della scenografia e la centralità data agli attori ho ritrovato la lezione di Grotowski, nella corporeità di alcune scene la lezione del Living Theatre, anche se solo come accenno, ancora il Living nella scelta di non creare personaggi, ma più che altro caratteri e ancora per l’ essere a turno London, attrici o attori che fossero passandosi un berretto, come il testimone. London racconta e guida, cattura lo spettatore come se redivivo leggesse in una sorta reading le pagine del suo libro e in questo continuo avvicendarsi di volti e corporeità diventa ancor più interessante ed intrigante. Ho avuto, per tutto lo scorrere dello spettacolo la netta sensazione che quell’empatia che ha caratterizzato la scrittura scenica si fosse trasmessa a tutto il pubblico e che in una sorta di interscambio continuo ritornasse sul parterre e agli attori, creando una sinergia raramente riscontrabile. Tanto che al termine, il pubblico ha applaudito come se sprigionasse una fortissima energia positiva. A tutto questo ha contribuito la scelta indovinatissima delle luci, anch’esse essenziali, ma capaci di rendere ogni singolo quadro talmente vivo tanto da apparire come un effetto 3D cinematografico.
Come sono diventata buona, mi sono detta, durante gli applausi finali. E’ senza dubbio il miglior lavoro che il blog ha prodotto.
E gli interpreti?

continua…


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