Le tribù umane

Le tribù umane

o della poesia come visione sciamanica

manifesto Pow-Wow San Francisco 1967

manifesto Pow-Wow San Francisco 1967

a cura della Redazione

È ancora possibile riunire le tribù umane? Sembra una domanda priva di significato, retorica o

addirittura inutile. L’unica certezza e che il Poeta vive in un altro paradigma, e ne crea altri, al di fuori dello status mentale che ci consente di adattarci al grigiore quotidiano.

Apparteniamo alla realtà che ci hanno cucito addosso?

È sensato occupare esclusivamente uno spazio prestabilito, senza orizzonti nell’incapacità di andare oltre, non tanto spostando il corpo, ma la nostra essenza?

I Poeti hanno dato voce ai sentimenti più intimi dell’umano, ricercando e prospettando un’altra visione dell’esistere, al di là della realtà illusoria e del connubio diritti-doveri, portati in ogni società fino all’estremo sacrificio della guerra, annullando ogni spazio di ricerca interiore.

Queste domande o meglio ancora queste riflessioni traggono spunto da un evento da cui ha avuto origine un reading che in questi giorni stiamo ricordando quale origine della nostra vocazione al teatro civile. L’evento a cui ci riferiamo si è palesato il 14 gennaio del 1967 a San Francisco quando ridando vita al rito della danza collettiva e sciamanica dei Nativi Americani detta Pow-Wow si riunivano presso il Golden Gate Park, la comunità politica dell’Università di Berkeley, i poeti della Beat Generation, le tribù hippy e quanti animavano la scena psichedelica del decennio 60 e 70.

Siamo quindi partiti, nella nostra riflessione dalla poesia come visione sciamanica, non interprete della realtà, ma capace di prefigurare l’essenza delle cose come luogo dell’inconscio, non raggiungibile attraverso i consueti itinerari mentali, ma bensì uscendo dalla logica dei contrapposti, via di mezzo eminentemente spirituale attraverso la quale ognuno può raggiungere la propria essenza.

A ben riflettere allora pace e guerra contrapponendosi si alimentano.

In un qualsivoglia scenario entrambi i contendenti ricoprono un ruolo complice, aggressori e difensori sono parte attiva dell’inizio e del perpetuarsi dei conflitti. La visione poetica o sciamanica non afferma né nega, semplicemente non contempla questi scenari. Tale visione consente al poeta/sciamano di indicare la via “sottile” e spirituale per comprendere che la nostra entità profonda, in quanto umani, non è votata al massacro, al conflitto, alla competizione, alla contrapposizione né tanto meno al dominio.

Tali riflessioni sono sicuramente il frutto, tra le altre cose, di questo momento di pandemia culturale e politica ancorchè sanitaria, che ci porta, fors’anche in quanto artisti ad amplificare a dismisura la nostra consueta abitudine alla ponderazione.

Eccoci allora a ripensare alla poesia convinti sia assolutamente necessario guardare oltre, dietro quello specchio nel quale Alice trova non solo il mondo capovolto, ma sé stessa.

Il reading che è scaturito dall’evento di quel lontano 14 gennaio 1967 portava in scena attraverso le voci degli attori e dei musicisti in scena i versi di William Blake, Walt Whitman, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg, Pier Paolo Pasolini e canzoni quali: White Rabbit (Jefferson Airplane) I feel like I’m fixin to die rag (Contry Joe M’c Donald) Le foglie morte (da una poesia di J. Prevert) Summertine (G. Gershwin) Se perdo te (Bardotti – Korda). Di questo reading avremo modo di parlarne ancora in alcuni articoli dedicati, approfondendo sugli interpreti e i luoghi delle svariate repliche nell’ambito dei “racconti” dedicati al nostro decennale.

Su quanto abbiamo detto sulla poetica tanto ancora c’è da dire e lo faremo quanto prima nel frattempo vi chiediamo di leggere l’articolo e di commentarlo, portando il vostro prezioso contributo.

Qui sotto, come di consueto i link ai siti o articoli dedicato per approfondire quanto detto.

Pow- Wow (reading)

Pow-Wow (danza dei Nativi Americani)


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