Carmelo dice che non ami il teatro

Carmelo dice che non ami il teatro

conversando con Pier Paolo Pasolini

azione scenica in quattro quadri di Emanuele M. Landi

1° Quadro

Sul fondo della scena viene proiettato il primo quadro
Penombra
In un bar nel cento città è seduto un uomo di mezza età ben vestito, ha sul tavolino dei giornali, alcuni libri e un taccuino. Sta sorseggiando un caffè. Legge dal taccuino come ricordasse ad alta voce…Poi guardando avanti a sé…
Luce sul tavolino

Uomo:
Rivolto al pubblico… e contemporaneamente fra sé…
Non so dire come sia accaduto, fatto sta che mi sono ritrovato seduto in questo caffè nel centro di Bologna in conversazione con Pasolini, d’altra parte non c’è nulla di strano tra bolognesi. Era tempo che volevo incontrarlo, ed ecco che succede. Quale migliore occasione per parlare con un così raffinato intellettuale, in tutta tranquillità e proprio nella nostra città, mentre sorseggiavo un caffè cercavo il miglior modo per iniziare, il ghiaccio era stato rotto, mancava però quell’argomento che dischiude alla conversazione e la rende fluida e sempre più interessante.
Poi così, senza pensare dissi:
L’Uomo si volge verso la parte in penombra del palco dove idealmente e posto “Pasolini”
«Carmelo Bene dice che non ami il teatro, anzi, afferma che lo odi proprio»

Cantore – Pasolini (in penombra)
«Sono sempre stato attratto dal cinema, capita a chi scrive».

Uomo:
Rivolto al pubblico… e contemporaneamente fra sé…
Immediatamente ho capito che non avrebbe risposto a quella domanda, perlomeno non subito, era tranquillo, quasi rilassato, avevo voglia di domandargli una infinità di cose, partendo da quello che a me era sembrato, il suo essere contraddittorio, a volte. Era ovviamente una mia opinione, suffragata però dall’ascolto di sue interviste, dalla visione dei suoi film e dalla lettura dei suoi libri. Una cosa alla luce degli accadimenti recenti mi era chiara, gran parte delle sue intuizioni e delle analisi sulla società sua contemporanea e, in certo qual modo, futura si erano dimostrate vere. Da parecchio tempo, però, mi ponevo un interrogativo, non era forse Pasolini parte del problema anziché della soluzione?  Questo per via di alcune sue affermazioni che, se da un lato presagivano chiaramente il futuro, dall’altro difendevano alcuni principi, a mio avviso, di pura conservazione.
L’Uomo si volge verso la parte in penombra del palco dove idealmente è posto “Pasolini”
«Scusa Pierpaolo, vorrei essere molto franco con te. Non sono mai riuscito a capire quanto c’era di denuncia sociale nella la tua posizione sul sottoproletariato, rappresentato a Roma da coloro che dimoravano nelle borgate. Hai esaltato quelle persone, riconoscendo loro una forte identità e una sorta di vocazione se vogliamo intellettuale, una spontaneità ed un’unicità che sconfinava nella purezza in contrapposizione alla società borghese, quella per intenderci, che esprime la classe dirigente del Paese, a volte repressiva e discriminante, il più delle volte corrotta… e su questo siamo d’accordo. Ho avuto però spesso la sensazione che tu pensassi che solo mantenendo quel sottoproletariato perennemente in quella condizione, tale purezza si potesse perpetuare all’infinito e che rappresentarli o scrivere di loro fosse la garanzia per rendere visibile l’idealità che cercavi. Perché invece non cercare di eliminare il degrado? Credi forse che il superarlo o accedere alla conoscenza significhi sempre e solo snaturamento?»

Cantore – Pasolini (in penombra)
«La conoscenza, o l’accesso improvviso ad essa, snatura, perché in persone come dici tu, portatrici di una sorta di purezza si genera fatalmente la bramosia all’uniformazione, sì, è vero, era necessario mantenere la loro condizione e farne uscire lentamente le loro caratteristiche, ma questo poteva essere fatto favorendo l’utilizzo del linguaggio, anche corporeo, a loro più consono, quello della vita di tutti i giorni per intenderci, anche se poteva apparire limitato e inadeguato, aveva in sé qualcosa di elevato, costituito da precise regole e codici a volte anche duri e spietati, ma volendo guardare bene, anche dietro “Il buon selvaggio” evocato da Rousseau quella purezza non è scevra di durezza e a volte di crudeltà. Il mio intendimento, non era quello di contrapporre il sottoproletariato alla borghesia, bensì dar luogo, da un lato, ad una loro maggiore visibilità e dall’altro farli esprimere, rileggendo la storia, con loro che la fanno e la subiscono, sarebbe stato il tempo a costruire un itinerario di profonda presa di coscienza fino ad arrivare ad una identità propria che non fosse caricatura della borghesia.

L’Uomo prende appunti

Cantore – Pasolini (in penombra) Si gira verso il pubblico – Luce blu. Buio sul tavolino

La mancanza di richiesta di poesia

Come uno schiavo malato, o una bestia,
vagavo per un mondo che mi era assegnato in sorte,
con la lentezza che hanno i mostri
del fango – o della polvere – o della selva –
strisciando sulla pancia – o su pinne
vane per la terra ferma – o ali fatte di membrane…
C’erano intorno argini, o massicciate,
o forse stazioni abbandonate in fondo a città
di morti – con le strade e i sottopassaggi
della notte alta, quando si sentono soltanto
treni spaventosamente lontani,
e sciacquii di scoli, nel gelo definitivo,
nell’ombra che non ha domani.
Così, mentre mi erigevo come un verme,
molle, ripugnante nella sua ingenuità,
qualcosa passò nella mia anima – come
se in un giorno sereno si rabbuiasse il sole;
sopra il dolore della bestia affannata,
si collocò un altro dolore, più meschino e buio,
e il mondo dei sogni si incrinò.
«Nessuno ti richiede più poesia!»
E: « E’ passato il tuo tempo di poeta…»
«Gli anni cinquanta sono finiti nel mondo!»
«Tu con le Ceneri di Gramsci ingiallisci,
e tutto ciò che fu vita ti duole
come una ferita che si riapre e dà la morte!»

Cantore torna al leggio
L’Uomo continua a prendere appunti e di tanto in tanto si gira come ad ascoltare la poesia.

Carmelo dice… 2° Quadro

Si spegne la luce blu
Sul fondo della scena viene proiettato il secondo quadro
Luce sul tavolino

Uomo:
L’Uomo si volge verso la parte in penombra del palco dove idealmente è posto “Pasolini”
«Oggi Pier Paolo, molte di quelle persone sono diventate sostenitrici della parte politica più reazionaria. Abbattute le baracche delle periferie eccoli approdare nei miserrimi casermoni popolari e, a parte rari casi, il degrado e la durezza, senza dimenticare la violenza, fanno ancora parte della loro vita, pochi di loro hanno continuato quel percorso che tu avevi tracciato. Chi ti è stato più vicino, coloro ai quali tu hai dato l’ opportunità di usare il mezzo cinematografico, per esprimersi, sono stati ben presto relegati in una nicchia culturale e, ironia della sorte, le loro opere cinematografiche o prove attoriali, alcune delle quali di grande impatto e valore, sono diventate oggetto di culto per la borghesia, magari di sinistra, ma sempre borghesia e poco o nulla hanno interessato le classi popolari. Abbiamo assistito è vero alla sparizione quasi totale delle borgate, ma ora le migrazioni, dai paesi dal terzo mondo, hanno riempito quel vuoto, con una particolarità, il degrado, già di per sé devastante, si è di fatto acuito a causa di un’emarginazione voluta e costruita con cura maniacale, dai governi formati dalla nuova destra e dall’ignavia di una sinistra che ha progressivamente perso se stessa, ciò che inorridisce è che proprio buona parte di quel sottoproletariato espresso ora da figli e nipoti delle periferie di quaranta anni fa, che poco o nulla sanno di te, sono tra coloro che spingono gli immigrati sempre più verso il basso per poi usarli e sfruttarli a tutti i livelli. Hai avuto ragione su tante cose, ma questo penso tu non lo avessi previsto»
Rivolto al pubblico… e contemporaneamente fra sé…
Mi aveva ascoltato in silenzio, il suo sguardo profondo pareva perdersi nel vuoto dei suoi occhi un po’ infossati e la sua figura minuta, ancorché atletica,  sembrava rimpiccolirsi, guardava me per poi, un attimo dopo perdersi di nuovo nel vuoto. Poi, all’improvviso, come riprendendo il filo di un pensiero a lungo corteggiato mi disse:

Cantore – Pasolini (in penombra)
«Ti giuro che non riesco a figurarmi quello che dici, ma non ho nessuna ragione per non crederti. Stavo pensando che negli ultimi tempi mi prendeva all’improvviso una sorta di scoramento che devastava tutto il mio essere, non riuscivo a vedere chiaramente le cose, come pochi anni prima, mi sentivo sempre più solo, mi sono sentito solo tutta la vita, a dire il vero, ma in quei momenti temevo di perdermi nei miei stessi pensieri. Quando questo succedeva lasciavo che tutto fluisse lento e, a volte guardandomi allo specchio mi vedevo invecchiato anzitempo, cercavo con caparbietà di scuotermi, forse a volte, devo confessarlo, finivo per abituarmi a quella condizione, la cercavo persino.
Come ti ho detto non avevo certezza di cosa fosse, se il sentore della morte o la mia estraneità ad una società che ha sempre cercato di farmi tacere, e lo hanno fatto sia la chiesa che il partito comunista, sia la democrazia cristiana che la borghesia tutta, ho avuto spesso sentore che i miei lettori o gli spettatori dei miei film fossero, in buona parte, accomunati dal desiderio di sentirsi parte di un casta, che si compiaceva di esserlo nei salotti di quella borghesia che io additavo come responsabile di mille misfatti, sia politici che culturali… ma non ero forse un borghese anch’io? Illuminato, per carità, magari geniale, che però pur nella sregolatezza, non doveva esagerare, per questo mi perdonavano, bontà loro, delle trasgressioni, dovevo però mantenermi entro certi ambiti, cosa che non ho mai fatto, se, secondo loro, esageravo, c’erano sempre i processi, e tanti ne ho subiti. Mi sono sempre sentito come un Cantore errante dell’antichità  che racconta agli astanti, di città in città, di luogo in luogo, guidato da una continua e  profonda riflessione sulla condizione umana e sull’essere del potere, quello esercitato dagli uomini e quello da essi attribuito agli dei, e ora mi dici sono stato profeta, ma nel mio pessimismo, per certi versi sono stato ottimista, non avevo previsto che la borghesia, benché cialtrona sarebbe divenuta emula della più spietata tirannide, degradandosi oltre ogni limite e che la sinistra italiana avrebbe amplificato a dismisura una sorta di perbenismo latente ed inetto ed un indole al tentennamento politico, fino a giungere a non schierarsi più con la forza necessaria dalla parte del proletariato».

Uomo:
Rivolto al pubblico…e contemporaneamente fra sé…
Rimase improvvisamente in silenzio, la consumazione era terminata, e forse era il caso di rivederci l’indomani per continuare quella nostra conversazione, erano tante le cose che volevo chiedergli ed ero certo che anche lui aveva dentro tantissime cose che premevamo per uscire, era pur sempre un notevole affabulatore.
«Pier Paolo. Domani a colazione, che ne dici?»

Cantore/Pasolini
«Sta bene domani a colazione»
L’Uomo esce. Buio sul tavolino
Cantore – Pasolini Rivolto verso il pubblico Luce blu.

Gli italiani

L’intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da uno dei milioni d’anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza –
alzare la mia sola puerile voce –
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.

Arriva Carmelo… 3° Quadro

Sul fondo della scena viene proiettato il terzo quadro
L’Uomo rientra e va sul proscenio. Luce su di lui. Inizia.

Uomo:
Rivolto al pubblico.
Il pranzo fu interessante più per il cibo che per la conversazione, scambiammo poche parole, Pier Paolo fu più che altro colpito dal mio essere vegetariano, spiegai la scelta, con molta difficoltà, perché dopo quasi trent’anni ho poco da dire se non esserlo, credo però che il mio commensale, che ad un certo punto glissò sull’argomento, non abbia compreso la mia scelta, poco importava, poiché in ogni caso, seppur con le rispettive scelte culinarie, il pranzo fu piacevole e oltremodo gustoso, vino compreso.
Decidemmo, a pranzo finito di prendere il caffè in un bar del centro, sotto il portico proprio davanti alle due Torri.
Eravamo entrambi pronti a lasciar fruire la conversazione.

L’Uomo torna al tavolino e si siede.

Cantore – Pasolini (in penombra)
«Devo proprio dedurre che questo Paese, non solo non si è evoluto, ma che per certi versi è persino regredito. I nomi che indicai in un mio scritto non solo sono ancora celati, ma ad essi se ne sono aggiunti altri che, da degni prosecutori, hanno portato avanti quelle oscure trame che hanno accompagnato l’Italia dal dopoguerra ad oggi. Davvero sconsolante».

Luce sul tavolino

Uomo:

L’Uomo si volge verso la parte in penombra del palco dove idealmente è posto “Pasolini”
«Pier Paolo, sai cosa è mancato dall’inizio degli anni ottanta in questo Paese? Sono convito sia mancato l’esercizio intellettuale, sì proprio così, quando un Paese è abbandonato dagli intellettuali e dall’impulso continuo che essi danno alla crescita culturale e critica, lentamente sopraggiunge il declino, bada bene non intendo abbandono voluto, sarebbe meglio dire, causato dal non ascolto, sì proprio così, le mille sollecitazioni venute dalla televisione privata, che dire commerciale è poco, assieme all’idea di facile ricchezza, hanno portato ad abbandonare ogni ricerca e il bisogno di risposte o, se vuoi, la necessità di un vero spirito critico, essenziale nella costruzione di una società veramente democratica. Ammettiamo pure che vi sia stata una sorta di disillusione per i cambiamenti non avvenuti, quelli, per intenderci, sperati e perseguiti nel decennio precedente, ma sta di fatto che nessuno era più disposto ad ascoltare e tu Pier Paolo, novello Tiresia, non c’eri più».

Cantore – Pasolini (in penombra)
«Le tue parole mi portano a dire, che Salò, il mio ultimo film ha colto nel segno, in quel periodo ero, forse, pervaso da una sorta di nichilismo inconsapevole, sentivo un bisogno, palesemente sopra le righe, di dare immagine viva del potere e della sua infamia, che è illimitata, come lo è la sua propensione al trasformismo.  Sappiamo molto bene che gli uomini e le generazioni dimenticano facilmente, la memoria il più delle volte è scomoda e ingombrante, meglio abbandonarsi al despota di turno per non pensare e tirare avanti. All’uscita del film molti sono rimasti inorriditi dalla crudezza delle immagini, non so dirti come sono arrivato a quel film, forse davvero presagivo un declino senza speranza. Tu ora mi identifichi con Tiresia… non è forse il veggente stesso vittima dei suoi presagi? E’ parte egli stesso del destino che profetizza e quindi è coinvolto e complice degli avvenimenti susseguenti alle sue premonizioni, ma è suo dovere dar voce al destino e a volte è costretto ad usare un linguaggio duro ed evocare immagini terribili, affinché coloro che ascoltano siano profondamente consapevoli di ciò che èavvenuto e di ciò che avverrà»

Uomo:
Rivolto al pubblico… e contemporaneamente fra sé…
Mi resi conto che provava una profonda sofferenza nell’evocare quello che a tutti gli effetti poteva essere considerato come il suo testamento artistico e politico, ma forse la sofferenza proveniva dall’essersi reso conto, attraverso le mie parole, di come l’attuale società italiana fosse, sì cambiata, ma anche rimasta simile a se stessa, perpetuando i suoi difetti, le sue ignominie e le sue bassezze.  Ma che gli intellettuali si sarebbero allontanati dal tessuto sociale, abdicando alla loro funzione, critica e propositiva, la sola che garantisce dinamicità e progresso nella società, per ritiratisi in una sorta di Aventino, senza discepoli e quindi condannati all’estinzione, verosimilmente non lo aveva previsto.  Forse si era trattato di una scelta obbligata fatta alla maniera dei monaci medievali votati alla conservazione delle conoscenze per tempi migliori, evitando così che i barbari con furia iconoclasta, dettata dalla loro profonda ignoranza, si abbattessero con furore cieco contro tutto ciò che non comprendevano, ma anche questo non c’è dato sapere.
pausa
Pier Paolo, era sempre più sommesso, il suo sguardo era come perso.
Breve pausa… come riflettesse su quanto detto… Si gira stupito
Sorseggiando un ottimo caffè, ad un tratto ci accorgemmo che tutta via Rizzoli fin sotto le due Torri era stracolma di gente, ci voltammo all’unisono dopo un reciproco sguardo interrogativo, poi come un boato, una voce possente ed evocativa uscì amplificata da enormi casse acustiche:

Irrompe una luce bianchissima
Voce registrata

Carmelo Bene:

Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza

Sfuma
Si spegne la luce bianca

Uomo:
Rivolto al pubblico…e contemporaneamente fra sé…
Pier Paolo ed io guardammo in alto. Nel primo terrazzino della torre degli Asinelli illuminato da potentissimi fari bianchi stava Carmelo Bene intento a dar sostanza alla sua phonè enunciando i versi danteschi. Poi  Pier Paolo si voltò verso di me e disse:

Cantore – Pasolini
(in penombra)
«Ecco Tiresia. Carmelo è veggente e oracolo, tanto da esserne devastato e autodistruttivo, come lo è chi profetizza, incompreso e incomprensibile, amato e odiato, desiderato e conteso, disprezzato e oggetto di culto, non essere ad un suo spettacolo sarebbe confessare la propria pochezza, anch’egli come me idolatrato in pubblico e detestato in privato. Vittima di se stesso, perché autentico poeta. Sopra le righe come lo è chi cerca altre dimensioni, provocatorio e sconsolatamente trasgressivo come lo è chi vuole uscire dal circolo vizioso del vivere, ma che in nessun caso rinuncia a dar voce alla profezia»

Uomo:
Rivolto al pubblico… e contemporaneamente fra sé…
Non ero del tutto d’accordo col quadro che aveva fatto di Carmelo Bene e, apprestandomi ad argomentare le mie obiezioni, mi tornò alla mente la domanda con la quale avevo iniziato la nostra conversazione il giorno precedente e, d’istinto come ad aprire il confronto, la riformulai:
«A proposito di Carmelo, dice che tu non ami il teatro, anzi afferma che lo odi proprio, è vero?»

Cantore – Pasolini.
Luce blu

Alla mia nazione

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto il male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

Sfuma la luce blu ed esce il Cantore.

Uomo:
Rivolto al pubblico… e contemporaneamente fra sé…
Mentre osservavo l’espressione del suo volto nel rispondermi, improvvisamente ebbi come un capogiro, per un attimo tutto si annebbiò…
Quando ripresi a vedere chiaramente, Pier Paolo non c’era più… ricordavo l’eco della voce di Carmelo, mi girai verso la Torre Asinelli, nemmeno Carmelo c’era più e la strada era trafficata come al solito… il mio sguardo cadde sul tavolino del bar… i giornali, la tazzina sporca di caffè… il mio taccuino… C’era un appunto…: riflessioni per una pièce su Pasolini… partire da una domanda: … Carmelo dice che non ami il teatro, anzi dice che proprio lo odi, è vero?
Si spegne la luce sul tavolino

Pasolini a Teatro 4° Quadro

Sul fondo della scena viene proiettato il quarto quadro

Uomo:
Va sul proscenio e rivolto al pubblico… e contemporaneamente fra sé…
Luce sul proscenio
Pasolini non ama il teatro… Non saprò mai se fosse la verità.
Carmelo se è vero che lo ha affermato, ha però conclamato la sua non presenza…e Pier Paolo non mi ha risposto. Sta di fatto che scrivere per la scena su Pasolini, sapendo che la frequentazione del palcoscenico non era in cima alle sue priorità mi pare ancor più allettante. Vorrei scrivere parole che diano senso al suo pensiero e anche a quello che io penso di lui.. certo che dopo un’esperienza di così difficile comprensione, come averlo visto talmente reale da interloquire con lui…Quando mi è stato chiesto, e svariate volte, se lo ritenessi tra i miei punti di riferimento, se non addirittura un mio maestro, ho sempre a lungo tergiversato prima di rispondere…non ho mai pensato a lui come un maestro, né nello scrivere ho mai una sola volta rivolto a lui un pensiero, ma ho sempre avuto la consapevolezza che non potevo prescindere da lui… alcune affinità e al contempo tantissima lontananza… soprattutto dal suo arrovello esistenziale. Poi però  in ogni mio scritto,…  a lavoro ultimato, trovavo tra le righe… un accenno… una citazione…ora delle parole ora dei suoi versi… E’ anche per questa ragione che ho iniziato ad elaborare una possibile scrittura scenica.
Rappresentarlo in qualità di personaggio? Procedere ad estenuanti provini per trovare l’attore più adatto ad interpretarlo, oppure lavorare su affabulazioni attoriali…
Vorrei in ogni caso rifuggire dal proiettare fotogrammi tratti dai suoi film… e delle sue parole quali usare? Saccheggiare i romanzi, i saggi, gli articoli; rivedersi magari le sue interviste? Più mi pongo domande sul come impostare il mio lavoro, più trovo difficile dargli corpo… è dovuto a quella sua personalità così complessa che a volte appare assai chiara, altre invece sfuggente… indefinibile…forse per questo ogni possibile quadratura scenica si dissolve ancor prima di averla concretizzata.
Pier Paolo non ama il teatro… volevo partire da questa affermazione di Carmelo, anche prescindendo dalla sua veridicità, mi sembrava avesse la forza di un buon inizio e che proprio partendo da questo quesito si potesse dischiudere un itinerario scenico e dar corpo ad un pensiero tra i più originali dello scorso secolo.
Ho parlato con Pier Paolo, ho condiviso con lui vari momenti al di fuori di qualsiasi temporalità, ho realizzato, terminata quell’esperienza , che fosse ben oltre la dimensione onirica… ora mi chiedo cosa mi attragga veramente della sua personalità…non voglio nemmeno pensare sia una sopita bolognesità.
Voglio provare a ripercorrere quell’esperienza, le parole, le domande e le risposte che al suo interno abitano, fino ai versi di Carmelo dalla torre Asinelli… e poi allargare l’orizzonte e la percezione…Mi fermo su alcuni dettagli… e subito mi distraggo. E’ come se avessi l’intera scrittura scenica già formata dentro di me, ma poi all’atto di concretarsi e prendere vita, come carte che si sparigliano, il tutto esce talmente rimescolato da non comprenderne più il significato.
E ancora una volta ho la certezza di aver dimenticato qualcosa, forse l’idea iniziale o l’impostazione o qualcosa d’altro…
E’ necessario che mi concentri…

Si guarda in giro  e assume un aria meditativa e pensosa.

Moravia al funerale di Pasolini
«Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeti. Il poeta dovrebbe essere sacro…»

Uomo: (come risvegliato) Rivolto al pubblico… e contemporaneamente fra sé…
… Ecco da dove cominciare… dal Poeta.

Luce blu

Uomo:
Sposta la sedia sul fondo Va dove sono posizionati vari libri, ne sceglie uno inizia a sfogliarlo girandosi lentamente verso il pubblico. Si posiziona e inizia recitare.

Il desiderio di ricchezza del sottoproletariato romano

Li osservo, questi uomini, educati
ad altra vita che la mia: frutti
d’una storia tanto diversa, e ritrovati,
quasi fratelli, qui, nell’ultima forma
storica di Roma. Li osservo: in tutti
c’è come l’aria d’un buttero che dorma
armato di coltello: nei loro succhi
vitali, è disteso un tenebrore intenso,
la papale itterizia del Belli,
non porpora, ma spento peperino,
bilioso cotto. La biancheria, sotto,
fine e sporca; nell’occhio, l’ironia
che trapela il suo umido, rosso,
indecente bruciore. La sera li espone
quasi in romitori, in riserve
fatte di vicoli, muretti, androni
e finestrelle perse nel silenzio.
È certo la prima delle loro passioni
il desiderio di ricchezza: sordido
come le loro membra non lavate,
nascosto, e insieme scoperto,
privo di ogni pudore: come senza pudore
è il rapace che svolazza pregustando
ghiotto il boccone, o il lupo, o il ragno;
essi bramano i soldi come zingari,
mercenari, puttane: si lagnano
se non ce n’hanno, usano lusinghe
abbiette per ottenerli, si gloriano
plautinamente se ne hanno le saccocce
piene.
Se lavorano – lavoro di mafiosi
macellari, ferini lucidatori, invertiti commessi,
tranvieri incarogniti, tisici ambulanti,
manovali buoni come cani – avviene
che abbiano ugualmente un’aria di ladri:
troppa avita furberia in quelle vene…
Sono usciti dal ventre delle loro madri
a ritrovarsi in marciapiedi o in prati
preistorici, e iscritti in un’anagrafe
che da ogni storia li vuole ignorati…
Il loro desiderio di ricchezza
è, così, banditesco, aristocratico.
Simile al mio. Ognuno pensa a sé,
a vincere l’angosciosa scommessa,
a dirsi: “È fatta,” con un ghigno di re…
La nostra speranza è ugualmente
ossessa: estetizzante, in me, in essi anarchica.
Al raffinato e al sottoproletariato spetta
la stessa ordinazione gerarchica
dei sentimenti: entrambi fuori dalla
storia,
in un mondo che non ha altri varchi
che verso il sesso e il cuore,
altra profondità che nei sensi.
In cui la gioia è gioia, il dolore dolore.

Uomo:
Appoggia il libro ne sceglie lentamente un altro  e come in precedenza lo sfoglia, nel silenzio, poi come a scegliere una poesia, si gira verso il pubblico e inizia a recitare:

La ballata delle madri.

Mi domando che madri avete avuto.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d’esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate, a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?
Madri vili, con nel viso il timore
antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia, li allontana dal cuore,
li chiude nel vecchio rifiuto morale.
Madri vili, poverine, preoccupate
che i figli conoscano la viltà
per chiedere un posto, per essere pratici,
per non offendere anime privilegiate,
per difendersi da ogni pietà.
Madri mediocri, che hanno imparato
con umiltà di bambine, di noi,
un unico, nudo significato,
con anime in cui il mondo è dannato
a non dare né dolore né gioia.
Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.
Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l’antico, vergognoso segreto
d’accontentarsi dei resti della festa.
Madri servili, che vi hanno insegnato
come il servo può essere felice
odiando chi è, come lui, legato,
come può essere, tradendo, beato,
e sicuro, facendo ciò che non dice.
Madri feroci, intente a difendere
quel poco che, borghesi, possiedono,
la normalità e lo stipendio,
quasi con rabbia di chi si vendichi
o sia stretto da un assurdo assedio.
Madri feroci, che vi hanno detto:
Sopravvivete! Pensate a voi!
Non provate mai pietà o rispetto
per nessuno, covate nel petto
la vostra integrità di avvoltoi!
Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
– nel vostro odio – addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
E’ così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.

Terminata la lettura parte riappoggia il libro , guarda il pubblico e torna a sedersi al tavolino
assorto nei suoi pensieri.

Si abbassano le luci…

Voce fuori campo come a rappresentare i pensieri dell’Uomo

La poesia non necessita di spiegazioni. Sono i versi, il loro ritmo e quella sorta di alchimia che la lettura fa scaturire che danno al lettore il senso profondo che in essa è racchiuso.
E’ parte integrante dell’agire scenico e l’attore ha in sé l’essenza e il ricordo del cantore errante dell’antichità; è novello Omero e fors’anche cieco, ma non nel senso fisico del termine, è tale perché egli sa. Il verso è parte del suo più intimo sentire ed è la voce il mezzo e lo sguardo, è cieco per le cose comuni, ma il suo sguardo segna oltre, osserva l’inosservato.
Alberto Moravia ai funerali di Pasolini disse che era morto un poeta e che di poeti ne nascono pochi in un secolo, quelle parole racchiudevano un che di profetico e al contempo reale, per quanto noi si conosca molti poeti vissuti e viventi in realtà essi sono assai pochi e spesso inascoltati, inespressi quand’anche perseguitati, poiché il poeta è altro rispetto alla realtà del quotidiano e ancor di più rispetto ad ogni potere od esercizio del dominio.
Omero ha cantato della guerra ma non la guerra nell’Iliade e non è differenza da poco. Nell’Odissea eccolo dare voce al travaglio di un uomo. Odisseo è eroe per certi versi, ma caduco, fragile, fallace, violento e barbaro a volte.
Vi è allora, a guardare bene, in quella elegia, una profonda riflessione sulla condizione umana e sull’essere del potere, quello esercitato dagli uomini e quello da essi attribuito agli dei. Forse che l’aedo mette in guardia l’ascoltatore?
Il poeta offre la chiave per scoprire noi stessi ed osservarci come al di fuori del nostro corpo, come se davvero potessimo farlo fisicamente. In realtà ci dice che penetrando nella lirica, possiamo farlo, scindendo il nostro Essere profondo dalla quotidianità, il più delle volte votata all’eccessiva bramosia, alla velocità, all’ irriflessione e all’abdicazione di noi stessi a inetti governanti.
Vediamoci, allora, quali siamo: essenze spirituali schiacciate da soverchianti forze da noi create ed alimentate, questo paiono dirci, i Poeti. Se ad affabulatori, attori e cantori, quali portatori del Verso prestiamo davvero ascolto e sappiamo osservare quello sguardo cieco ai più, ma in realtà capace di scrutare oltre il visibile, allora davvero potremo entrare nell’autentica dimensione che è propria di ognuno di noi e che la Poesia racchiude.

Epilogo a due voci

Mentre la luce sul tavolino si alza. Entra l’attore che intepretava il Cantore e rivolgendosi al collega
ancora assorto nei suoi pensieri chiamandolo per nome ( ora sono tornati attori) dice:

1° attore:
Pensi che li sapesse davvero i nomi?

2° attore:
Certo che li sapeva quei nomi, ma aveva detto e scritto di non avere le prove.

1° attore:
E credi che sia stato ucciso per questo?

2° attore:
E’ possibile che fosse diventato un vero pericolo, tieni conto che nel 1975, quando è stato assassinato né la tragedia di Ustica né la strage della stazione di Bologna avevano avuto luogo, ma Piazza Fontana, l’Italicus e Piazza della Loggia sì. Rivelandoli avrebbe, senza dubbio, compromesso i futuri progetti stragisti.

1° attore:
Forse avevano davvero paura che alla fine li rivelasse quei nomi, ma quello che mi fa davvero rabbia e che per farlo tacere per sempre abbiano usato un utile idiota confidando sulla sua ignoranza e… sulla nostra…

2° attore:
Sai qualche notte fa ho fatto un sogno, forse era una visione, o altro, non saprei dirti, ho visto Pasolini e gli ho chiesto se davvero li conoscesse quei nomi, ovviamente non ho avuto risposta, ma ho sentito la sua voce flebile e al tempo stesso tagliente come un pugnale recitar poesie, le sue poesie, mi sono entrate nel cervello ed è stato come penetrare quei versi, ne ho compreso l’essenza ed ho capito appieno la forza dirompente della poesia, della sua poesia, della sua poesia. Ho avvertito chiarissimo l’orrore che tutte le stragi e gli attentati hanno procurato, ed ho capito una cosa fondamentale… che non dobbiamo mai dimenticare

1° attore:
Penso sia nostro dovere ricordare e tramandare i nom…i di quelle vittime  che sono cadute in quella guerra occulta ed occultata e penso che dovremmo non solo ricordarli, ma recitarli ad alta voce come un poema, solo così rivivranno per sempre come Persone.

2° attore:
Sono quei nomi che vogliono farci dimenticare, agli assassini sai il ricordo delle proprie vittime fa paura. Sarà la potenza dei versi di Pasolini che ci darà la forza necessaria, perché ci mettono continuamente di fronte alla realtà, quella che il potere vuole nascondere e che spesso non riusciamo o non vogliamo vedere.

1° attore: guardano verso il partner, poi entrambi verso il pubblico
Il poeta, ormai lo sappiano è una spina nel fianco di ogni potere e bisogna farlo tacere con ogni mezzo.

Entrambi e vanno dietro le quinte.

Fine