Il progresso che avanza…

Il progresso che avanza schiacciando la dignità umana

il popolo degli abissiJack London, in un grande reportage giornalistico, denuncia il fallimento della civiltà: un testo dall’attualità sconcertante

di Ivan Poli

Chiudete per un attimo gli occhi e provate ad immaginare un mare sconfinato di alberi, una distesa vivente di piante secolari interrotta saltuariamente da picchi innevati e laghi multiformi, una tavolozza di colori che spaziano dalla purezza del bianco a tutte le sfumature del verde e dell’azzurro, un volo d’uccello su uno degli scenari tipici del Grande Nord.
Magari fra Alaska e Canada, magari nei pressi del Klondike, all’epoca della frenetica “Corsa all’oro”, magari ripescando dalla memoria fanciullesca quei paesaggi descritti nei libri di uno dei più grandi scrittori nordamericani vissuti a cavallo fra Ottocento e Novecento.
Ora che avete fissato bene le immagini nella vostra mente… cancellatele, dimenticatele, strappatele ed appallottolatele come una vecchia cartolina sgualcita e preparatevi a seguire lo stesso narratore/viaggiatore in un altro dei suoi itinerari avventurosi, questa volta compiuto fin dentro le nere pieghe della sofferenza, della miseria e della disperazione, al centro del più grande Impero coloniale di tutti i tempi, quello Britannico.
Il Popolo degli Abissi
(o dell’Abisso in alcune edizioni) [1] è la storia di questo viaggio, uno degli scritti meno noti di Jack London che nondimeno rappresenta anche uno dei saggi narrativi più interessanti e coinvolgenti mai pubblicati nel mondo anglosassone nonché un esempio brillante di giornalismo moderno.
Per carattere e per ideologia, avendo fin dal 1894 aderito al pensiero socialista, London viene pervaso dall’impellenza di capire, di sperimentare sulla propria pelle che cosa significa vivere nel nucleo delle più grandi contraddizioni, di carpire i segreti di quel meccanismo impietoso che porta la società umana a creare una così grande disparità fra classi, a produrre mostri: «Le esperienze che ho raccolto in questo volume sono state da me vissute nell’estate del 1902. Sono sceso nei bassifondi di Londra, come un esploratore penetra in regioni inesplorate. Ero deciso a credere solamente a ciò che avrei visto, piuttosto che agli insegnamenti di coloro che avevano scritto senza vedere, o alle parole di coloro che avevano visto e se n’erano andati prima di capire».
L’Inghilterra di quegli anni è quella che tutti i libri di storia definiscono un glorioso impero, che gode appieno dei benefici a lungo termine della Rivoluzione Industriale e che alimenta tenacemente le proprie attività commerciali in tutto il mondo grazie allo sfruttamento delle terre colonizzate, accumulando nel contempo considerevoli ricchezze, ovviamente maldistribuite e concentrate su una percentuale ridottissima di popolazione, mentre il resto, la maggioranza, viene spremuto e stritolato dalla macchina inarrestabile ed impietosa della società capitalistica. Il risultato è lì, a portata di mano, basta solo avere il coraggio di vederlo.
Fra lo sbalordimento di impiegati pubblici e l’ottusità di funzionari di polizia, il giornalista si appresta a mettere in atto il proprio proposito ma per farlo ha necessità di trasfigurarsi, di diventare “uno di loro”, di ridursi in sostanza ad una di quelle particelle di sporcizia che ammorbano come un virus quella temuta parte di città che va sotto il nome di East End. L’ingresso nella “zona proibita” equivale a porre il primo passo oltre i cancelli dell’Inferno.
Da questo momento in poi tutto si stravolge e si setta su nuove coordinate per cui la vita umana assume un valore prossimo allo zero. Nulla può trovare confronto con quello che l’autore vede con i propri occhi, in nessun luogo del mondo, anche fra i popoli più primitivi e selvaggi che lui stesso ha visitato durante i suoi innumerevoli viaggi: «Per la prima volta in vita mia, sentivo la paura della folla impadronirsi di me. Era come la paura del mare. Tutta quella miserabile moltitudine, che sfilava, una strada dopo l’altra, mi appariva come i flutti di un oceano, immenso e nauseabondo, che mi stringeva da ogni lato, minacciando di balzare sopra di me e di inghiottirmi».
Jack London si addentra nell’abisso e raccoglie e documenta le esperienze, i racconti, i fatti, le informazioni, le idee e le emozioni. Le storie si susseguono: di volta in volta facciamo conoscenza con essere umani al limite della sopravvivenza, miserabili la cui salute fisica e mentale è stata irrimediabilmente compromessa da condizioni di vita improbabili.
Il miraggio del lavoro richiama folle enormi nella capitale inglese, non tutti riescono a trovarlo e basta un niente per perderlo. Sopravvivere in questa giungla diventa quindi impossibile. Dietro ogni angolo aguzzini e speculatori sono pronti a depredare gli umili dei loro pochi averi, proponendo soluzioni abitative indecenti a prezzi esorbitanti, la promiscuità in pochi metri quadrati diventa la normalità, persone diverse condividono una singola stanza subaffittata ed un singolo letto, famiglie numerose sono costrette a vivere in soffitte o baracche sudice in cui le condizioni igieniche sono a livelli pessimi, i parassiti dilagano e le malattie si diffondono a velocità impressionante.
Anche le condizioni di lavoro, per quei pochi “fortunati” che lo possiedono, sono spesso al limite della tolleranza. Turni massacranti, mestieri usuranti e degradanti in luoghi bui e malsani in cui il semplice atto di respirare diventa difficile e pericoloso, il tutto per pochi spiccioli neanche sufficienti a comprarsi un pezzo di carne. Alcuni hanno uno stipendio più dignitoso e si possono permettere una vita meno affannosa, il baratro è però sempre lì, a due passi, e basta un niente per iniziare a scivolarci dentro. Un infortunio del padre di famiglia, spesso unico lavoratore, la malattia di un figlio, un imprevisto qualsiasi, possono spezzare il fragile equilibrio e procurare la rovina. Il semplice incedere della vecchiaia porta l’uomo ad essere scartato dal mondo del lavoro come un ingranaggio inutile ed arrugginito. Il dopo è un incubo e per affrontarlo si inventano gli espedienti più indicibili.
Le vie più facili per racimolare denaro sono quelle della malvivenza per gli uomini e della prostituzione per le donne, per chi ha ancora la forza per poterlo fare, dopodiché si passa prontamente alla mendicanza agli angoli delle strade. Il metodo più veloce per dimenticare la miseria e l’angoscia lo si trova immancabilmente sul fondo di un bicchiere. Mantenere un filo di dignità non è facile e chi ci riesce si deve sottoporre ad una degradazione continua e tale da stravolgere la mente, fino al punto di non poterne più, arrivando di conseguenza al gesto estremo che tutto cancella e risolve.
Seguire i passi dell’autore in questa discesa nell’abisso ci porta a prendere confidenza con situazioni e ambienti assurdi: gli ospizi per i poveri, gli ospedali, gli spike cioè gli asili notturni, le workhouses, i padiglioni dell’Esercito della Salvezza. Si familiarizza con terminologie come “portare la bandiera” e andare on the doss. Si prende atto di statistiche impietose e dati di raffronto impressionanti. Ci si sgomenta e ci si indigna.
Lo stesso narratore non riesce ad essere freddo e distante nella sua analisi e sovente si lascia andare a commenti sdegnosi, ad invettive contro il sistema politico ed economico, a moti di rabbia contro un apparato giudiziario che dà maggiore peso alla proprietà piuttosto che alla persona. La critica è spietata e caustica, non lascia spazio ad accondiscendenze: ciò ha portato larga parte del mondo letterario (e non) a polemizzare con London e ad ostracizzarne l’opera fino alla quasi totale messa al bando. L’ultimo capitolo è la summa di questi ragionamenti e gli strali lanciati sono potenti e pesanti, carichi di collera e inclemenza.
Al termine della lettura non si può che andare con la mente all’epoca dei fatti, immaginare se stessi invischiati in quella impietosa palude e domandarsi che cosa avremmo fatto, che cosa avremmo provato; il disagio è palpabile ed il rimando a certi parallelismi con il mondo attuale, soprattutto quello lavorativo, è cosa facile. La crisi economica che attanaglia i nostri giorni sta creando situazioni al limite della sostenibilità e certi fantasmi che credevamo scomparsi sono nuovamente in agguato. Certo le condizioni estreme di quell’inizio secolo è impensabile si possano verificare con la stessa intensità al giorno d’oggi, oltre il Duemila… ma ne siamo proprio sicuri? Siamo certi che la civiltà e la modernità del nuovo millennio ci possano questa volta salvare dall’abisso e non al contrario condurci nuovamente per mano verso il suo orlo?

NOTA BIBLIOGRAFICA

[1] – L’edizione consultata è JACK LONDON, Il Popolo dell’Abisso, traduzione di Riccardo Mazzarol, Sonzogno, Milano, 1974. In copertina, la più recente edizioni, dal titolo Il Popolo degli Abissi, pubblicata da Robin Edizioni nel 2013.
(www.excursus.org, anno V, n. 50, settembre 2013)